mercoledì 4 gennaio 2012

Gli Addii

“Il treno: intercity 6943 proveniente da Napoli Centrale e diretto a Verona: arriverà con 45 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio”
All’ansia della partenza, alla paura di fare tardi e di essere immerso in un “cambio vita radicalmente” è quasi necessario che si aggiunga anche la rabbia per Trenitalia. Sempre in ritardo noi italiani! anche i nostri treni.
Devo avvertire il sig. Giulio di spostare l’appuntamento per questa sera, e semmai di lasciarmi le nuove chiavi di casa da qualche parte. Figuriamoci! Nemmeno conosco il mio padrone di casa e sono certo che si sarà già fatta un’idea sbagliata su di me. Lasciarmi le chiavi di casa. Dove poi? Crederà che sono inaffidabile, superficiale, approfittatore. Adesso lo chiamo e gli dico di vederci domattina presto.  Mi toccherà prendere una camera in qualche fetido e decadente albergo con questi pochi soldi che mi son portato dietro. Che sarà mai, dopotutto, una notte?
Devo cercare assolutamente qualche panchina su cui sedermi per compilare i moduli. Il ritardo del treno mi permetterà di finire anche questo libro che ho iniziato settimana scorsa. Dove l’ho messo? Dov’è finito? Mi sa che cambierò anche questa vecchia borsa, oltre alla casa. Trovato.
E’ sempre opportuno portarsi dietro qualche libro quando si entra in una stazione italiana, non per il viaggio durante il quale sono particolarmente preso dal guardare il paesaggio e ogni personaggio che passa nel mio vagone. Si incontra parecchia gente strana, bizzarra, ma anche normale, comune, bella. Insomma gente proveniente da ogni classe sociale, se n’è rimasta qualcuna, o comunque gente povera e ricca, alta e bassa, grassa e magra, bionda e nera, pallida e scura e olivastra, ceca e zoppa, giovane e mezzana e vecchia.
Un libro è sempre utile per tappare questi maledetti ritardi. O ci si abitua o ci si abitua. Noi italiani siamo un popolo di conformisti, e ci piace. Sì, ci arrabbiamo, ci indigniamo, ma ormai la nostra lamentazione è pari ad un belato di pecore che segue il gregge, che lo segue rassegnato pur sapendo di essere condotto infondo al burrone.
Mi sto perdendo troppo. Devo ricordare ai mie panni vecchi di adattarsi e abituarsi al nuovo armadio. Chissà come si sgualciscono qua dentro, in questa valigia.
Pagina 63, ecco dov’ero arrivato. Ma io proprio non ce la faccio adesso a leggere. Mi sta prendendo un’ angoscia e una malinconia, un magone alla bocca dello stomaco, una morsa che mi stringe la gola. Sarà il tempo che si starà facendo più cupo. Sarà il sole che mi ha privato della sua luce perché mi togliessi quell’espressione accigliata dal volto e distendessi lo sguardo intorno. La stazione. La mia stazione. Sto per partire e questa è l’ultima volta che ci metto piede. Per un attimo ho creduto che il treno sia sua complice, che come un personaggio che si sente indiscreto, si ferma in disparte e guarda da lontano mentre qualcuno mi si avvicina intenzionato a dirmi qualcosa di importante. E’ la stazione, è lei che come una vecchia amica dai capelli grigi, e ondulati per il vento della velocità, mi vuol dire: “ Addio. “

“Il treno: intercity 6943 proveniente da Napoli Centrale e diretto a Verona: arriverà con 45 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio”
<< Mi scusi saprebbe dirmi qual è il binario per il regionale 1103? >>
<< Puoi controllare su quel tabellone lì affisso…>>
<< Sì, ho dato un’occhiata ma.. questo treno per il tabellone non esiste! >>
<< Mmm..strano, dovrebbe essere aggiornato ! >>
<< Già, quindi lei non sa dirmi a che binario arriva? >>
<< Guardi, chieda in quell’ ufficio...>>
<< Va bene, la ringrazio! >>
“ Chieda in quell’ufficio “ ..facile. Un gioco da ragazzi. Come al solito chiedi un’informazione a qualcuno esperto nel suo campo e, cosa fa? Semplice: insofferenza per la richiesta, risposta evasiva e si rimanda altrove, da qualcun altro. Via. Via per aver disturbato la quiete cerebrale o per aver interrotto l’ultimo tiro tanto aspirato di sigaretta. Sembra che questa gente abbia il terrore, il trauma di essere domandati. Quasi non guardano negli occhi, restando con lo sguardo imbizzarrito che si sposta come una pallina di un flipper. Mah..
Qui c’è un bar…riecco l’entrata…questi sono i bagni…
Laggiù c’è un vecchio barbone, questo cattivo odore di orina sembra proprio provenire da quella parte. Che schifo! Sarà meglio che mi allontani e continui a cercare al lato opposto. Coi tempi che corrono se ne sentono in giro di notizie su barboni che stuprano le giovani donne. Successe anche a Luisa, qualche mese fa, tornando a casa, proprio davanti al portoncino. Un vecchio ubriaco la scaraventò sul vetro e, premendo su di lei con forza, fece sì che si rompesse.
Riecco i bagni…l’entr…
<< Ah! Attenta! Ma dove diavolo hai gli occhi? >>
<< Oh mio dio, perdonami è che vado di fretta, il mio ragazzo è lì sul treno che mi aspetta e sono molto distratta..>>
Come posso non riconoscere questo volto..
<< Oh Emma! >>
<< Stefania! Che piacere rivederti..perdonami non ti ho manco riconosciuta..>>
<< Eh già, sono passati parecchi anni da quando eravamo compagne di banco. >>
<< Mamma mia, quanto tempo! >>
Ricordo di quando ci scambiavano per sorelle, stavamo insieme sempre. Anche dopo scuola, nel nostro tempo libero, mi invitava a casa sua per ascoltare la musica e canticchiare stando sdraiate sul tappeto con le gambe poggiate al muro.
<< Ma dov’è che vai? E chi è il tuo ragazzo? >>
<< Piero, il figlio dell’avvocato del terzo piano. E’ lì sul treno che mi aspetta. Scappiamo! >>
<< Come sarebbe scappiamo? Non vorrei trattenerti più a lungo però, hai fretta vedo >>
Si allontana verso il treno, chissà dove scappano..
<< Andiamo via! Lontano da questa città. Via! Fuori! All’estero! In America o magari su Marte! >>
Grida salendo sul treno. Mentre saluta con un piede dentro e l’altro fuori, col cappotto verdaccio che le svolazza insieme ai suoi capelli castani, lunghi e sempre sciolti che si agitano per aria.
<< Mi ha fatto piacere rivederti ! A presto !! >> grido anch’io.
<< Addio !!! >>

“Il treno: intercity 6943 proveniente da Napoli Centrale e diretto a Verona: arriverà con 45 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio”
Una vita sprecata è la mia. Inutile. Ho vissuto per circa ottant’anni. Sperando di ritrovare la speranza. Sperando che le cose cambiassero. Sperando di ritornare a vivere. E’ tutto così vuoto, perso. Perso come il mio io che si aggroviglia e raggomitola su se stesso. Giacente su un fondo senza fondo. Privo di pensiero, di parola, di azione. Qual è la mia storia? Perché mi trovo qui? In questa stazione? E’ tutto così incerto e privo di senso ormai. Non ci sono più speranze per un vecchio come me. Un barbone. E’ questo quello che sono: un barbone. E ho faticato molto per avere una vita desiderabilissima come quella che avevo. La guerra! La guerra! Vorrei gridare a tutti: mettetevi al riparo, arrivano i nazisti. Le bombe! LE BOMBE! Stragi interminabili. Orrore. Violenza. Distruzione. Macerie. Sono una maceria. Un pezzo di muro scalcinato. Mi hanno portato via tutto, le mie opere, i miei scritti, i miei romanzi. Bruciati perché contro il regime. Ma quale regime? Quello dell’inferno! Ecco quale regime.
Quella ragazza che viene verso di me, assomiglia alla mia Amalia. La mia donna, che la guerra mi ha fatto vedovo. Chiudo gli occhi e mi ritorna in mente, con un quel suo lungo vestito nero. I guanti bianchi che soleva sfilarsi per pormi le carezze. La scalinata che scendeva con eleganza sublime. I suoi capelli raccolti in un fermaglio luccicoso, odoranti di primule fresche, luccicoso come le spille che mettevasi al petto di farfalle e gigli. Svanisce la sua immagine ad occhi aperti. Nessuno ascolterebbe più cos’ho da dire. Nessuno ascolta più noi vecchi. La devastazione che quegl’anni m’hanno portato nel cuore, fanno della vita un caffè senza zucchero, un bicchiere d’alcool che brucia in gola. Brucia questa vita. Il treno, e la mia morte, sono in ritardo di 45 minuti. Vagabondo ancora andando vedo che c’è ancora qualche giovane ch’occupa il suo tempo perdendosi in letture.
<< Accorto figliolo! Accorto a ciò che leggi…potrebbe essere pericoloso figliolo! Sta accorto!>>
Sono andato su e giù per le strade randagie. Cercando cibi e briciole nelle spazzature, tremante dal freddo mi riscaldavo con lo smog e coi gas che bruciavano le auto, oppure sotto i bassi lampioni. La guerra ha lasciato in me un segno profondo. Mi ha portato via tutto: le mie opere, i miei scritti, i miei romanzi. Bruciati perché contro il regime. Ma quale regime? Quello dell’inferno! Ecco quale regime. Nonostante abbia vissuto il “boom”. Nonostante ho visto figli di contadini schiacciare pomodori al suolo e gridare: << Padre, voglio studiare! Voglio studiare padre! ne ho il diritto! >>. Ho visto diventare case popolari le vecchie catapecchie rurali. Ho visto una traversata di automobili FIAT in fuga, girare intorno alla piazza. Ho visto cambiare gli abiti, giovani andarsene in giro con radio sulle spalle. Diventò la televisione a colori, si diffusero altri privati canali. Il consumo iniziò in quegl’anni a riempire le case di prodotti col marchio. Una discarica di cose usa-e-getta divennero le città, puzzolenti di benzina, grigie. La mia vita mi sembra essere passata tutta davanti, proprio come uno “spot” di 30 secondi, adesso che sono sommerso da tutto questo peso, adesso che sono cosciente di non avere più niente a cui essere legato, non ho motivo di ostentare la mia voglia di vivere. Sono rimasto per tutti questi anni solo, e accartocciandomi come una foglia sotto il treno in ritardo, mi do l’Addio

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